In occasione della mostra, curata da Mario Redaelli, è apparso un Quaderno di sedici pagine, che oltre a contenere l'elenco delle opere esposte di Domenico e Alessandro Gilardi, di Tomaso, Domenico, Leone e Antonio Adamini, nonché di Agostino Camuzzi, e una breve presentazione del curatore della mostra, propone un saggio di Giuseppe Martinola, qui riprodotto:
Gli architetti della Collina
Che la certezza di soddisfare al bisogno spingesse i villici della Collina sulle lontane strade di una Russia ancora iperborea è la storia stessa dell'immenso Impero ad indicarcela nei suoi due momenti supremi: al principio del Settecento con la fondazione di Pietroburgo sulle paludi della Neva e un secolo dopo con la ricostruzione di Mosca sinistrata dalla leggendaria avventura napoleonica. E per due secoli, con qualche flessione imposta dalle vicende dinastiche di quel Paese, il flusso migratorio corse inarrestabile verso i giganteschi cantieri delle due metropoli e delle loro cerchie urbane, conobbe gli ampi spazi colleganti per strade interne i centri minori, fin che sul tardi, discendendo verso i tepori del Mar Nero, l'ultima migrazione finì via via per smagliarsi e poi si spense.
Rientrati dalla Russia coi loro disegni infilati nel tubo di latta e qui esposti grazie allo zelo di Mario Redaelli che ha saputo scovarli presso i discendenti, gli architetti della Collina con la loro emergenza prestan voce anche agli umili, artigiani quando non mestieranti, gli anonimi insomma senza eredità di opere che coi maestri scrivono tutti insieme la storia societaria di quella migrazione, antonomastica della Collina, quasi sua esclusiva; anche se altri maestrani, ma in assai più esiguo volume, e senza una eccellenza altamente selettiva, si misero pure sulle strade italiane, in una migrazione sull'uscio di casa, meno rischiosa e del tutto stagionale, infine secolarmente consuetudinaria a tutti i ticinesi.
Fra gli architetti, e non soltanto perché ormai criticamente assestato in una monografia recente, ma perché i disegni esposti sono parlanti, tiene il maggior posto, come un patriarca, Domenico Gilardi, anche con le prove inattese e giovanili della sua formazione italiana: nettamente autografe negli acquerelli di romantiche evocazioni di carceri e rovine o ancora nell'ingresso trionfale di un parco che manda l'estrema eco di un barocchismo in via di esaurimento, mentre pungono la curiosità certi progetti di teatro conservati fra i suoi disegni, capitolo chiuso per lui giunto che fu a Mosca.
Il cugino Alessandro, cresciutogli al fianco, dopo la severa formazione sui canoni neoclassici, mostra qui inaspettatamente in una serie di villette d'aver infine accolto le voci serpeggianti di un rinascente goticismo, porta aperta sull'eclettismo che suggeriva ancor timidi spunti moreschi o quasi: come del resto accadde per i due fratelli Domenico e Leone Adamini, dopo aver passato il dazio obbligato del vecchio rigore accademico, attestato dai laboriosi progetti. Ma col loro maggior parente, Tommaso Adamini, la lettura invoglia a un più profondo scandaglio: fra l'eredità venutagli dalla scuola ancora barocca del grande Rastrelli, presente con un disegno sul quale l'Adamini fu invitato a intervenire, e quella consumata su un neoclassicismo diventato architettura di Stato, un vangelo per tutti, ministrato da un altro grande architetto, il bergamasco Quarenghi, familiare, come del resto il Rinaldi, a molti della Collina, anche per la lingua, diciamo pure per il dialetto.
Come avviene peraltro con Agostino Camuzzi, che conclude il discorso, i cui disegni invogliano a individuare una personalità che fin qui si presentava di scorcio: accogliente coi suoi palazzi, dai prospetti frontonati di un vago e contenuto sapore ogivale, scoperti suggerimenti rinascimentali con recupero perfìno di riscoperte eleganze settecentesche, coi suoi villoni di periferia di un'aura romantica, con villette dal nitido ricamo, e, se è sua, come parrebbe, una facciata di chiesa che compendia tutte le tentazioni di un eclettismo ad uso e consumo del gusto russo.
È vivamente auspicabile, e non sembra attesa elusa, che si possa presto disporre del censimento dei 500 e più disegni che il Redaelli è riuscito a rintracciare sulla Collina, concludendo un'esplorazione parzialmente sistematica avviata a suo tempo da altri, consegnando così alla storia degli artisti ticinesi un apporto seriamente documentato e diretto che ci rimuneri dalle solite e stucchevoli rimasticature fritte e rifritte.
Giuseppe Martinola
Redaelli A. Mario (a cura di) Gli architetti della Collina a Pietroburgo e a Mosca Mostra di disegni dagli archivi delle famiglie Adamini, Camuzzi e Gilardi Edizioni Fondazione culturale Collina d'Oro, Montagnola 1984, pp. 16 (esaurito)
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